Origini d'una storia poco tricolore
In Italia il grattacielo nacque tardi, rispetto ai pionieri d'oltreoceano, durante il ventennio fascista, certo sulla scia della influenza esercitata dalla Scuola di Chicago, ma con canoni nostrani e vari compromessi tra ricerche razionaliste, moderniste e monumentali. Nel vocabolario nostrano la parola grattacielo pareva un'intrusa che avrebbe potuto togliere imperio alle torri dell'architettura antica, che l'Italia ostentava nel mondo: nulla poteva essere più alto del Duomo di Milano, della Torre di Pisa, della Mole Antonelliana, della Lanterna di Genova o delle Torri Garisenda e degli Asinelli di Bologna! Eppure iniziò ad accadere! I contatti tra progettisti europei e statunitensi sul tema “skyscraper”, ricordiamo, toccarono l’apice in occasione del concorso per la Chicago Tribune Tower del 1922, a cui parteciparono da Loos a Gropius e Meyer, dai Taut all’italiano Marcello Piacentini.
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Fu quest’ultimo l’artefice, il sommo mediatore tra scuole, architetti e regime, non privo di contraddizioni, della comparsa del grattacielo in suolo italiano.
Gli antenati tesi verso le nuvole
L’edificio “alto” è stato dunque uno dei temi d'eccellenza nel secolo scorso. La suggestione esercitata dagli esempi americani sollecitò la nascita di un magmatico movimento moderno italiano, che andrà a costituire varie scuole di pensiero: Novecentismo, Razionalsmo, Modernismo, Costruttivismo ed altre. La cultura italiana, però, come detto, ha mostrato riluttanza, se non proprio avversione, nei confronti della contemporaneità verticale, se si esclude la retorica futurista di Sant’Elia & C, di cui trattiamo nella sezione riservata a questa avanguardia storica. Tuttavia, il tema dell’architettura ascensionale inizia a fare la sua comparsa in strutture private come le ville e i palazzi urbani, già a partire dalla fine del 1800.
ALL'INIZIO ERA BELTRAMI E LA TORRE DEL FILARETE
La produzione ottocentesca di ville e residenze rimane fortemente legata al palladianesimo ed al recupero della tradizione antica, in termini decorativi, o addirittura storicistici, come nel caso del Castello Sforzesco di Milano.
La torre centrale, la più alta del castello, che ne costituisce l'ingresso principale, è detta Torre del Filarete, dal nome dell'architetto toscano chiamato a progettarla dal Duca Francesco I. Distrutta da uno scoppio all'inizio del sedicesimo secolo, fu ricostruita nei primi anni del Novecento al posto dell'originale scomparsa. La ricostruzione fu affidata all'architetto Luca Beltrami. |
Beltrami era famoso nel campo del restauro, poiché si basava sulla veridicità della storia e dei suoi documenti, fu uno dei pochi a preoccuparsi del contesto del monumento, del suo "tessuto connettivo", basandosi su una documentazione storica della vita dell'edificio, piuttosto che facendosi guidare dall'arbitrio della restaurazione romantica. Beltrami ha anche lasciato memorabili opere nel campo dell'arte sacra. La Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, il Duomo di Monza, la Certosa di Pavia furono restaurati anche da Beltrami. Inoltre pubblicò un esemplare libro sugli arredi sacri (L'arte negli arredi sacri della Lombardia) e alcuni libri sulla pittura di Bernardino Luini, artista religioso del '500. A Roma Beltrami, insieme a Giacomo Boni, sistemò il Sepolcreto nel Museo forense. Dopo i Patti Lateranensi dispose su incarico di Pio XI il piano regolatore per la città vaticana.
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L'ECLETTISMO ANTENATO DELLA MODERNITA'
In questa pagina, dunque, non trattiamo di grattacieli, ma di forti verticalità dal generico rapporto con l’ineludibile tradizione della torre, impiantata in edifici residenziali di matrice classica. Sono torri che assumono un carattere di forte indipendenza narrativa, metafora di una modernità alla ricerca delle proprie radici.
Consapevolezza di una continuità storica che assumerà diverse declinazioni. In apparenza non sembra esistere un rapporto fra queste costruzioni e i moderni grattacieli, eppure gli architetti successivi seppero coglierne le novità, anche strutturali, come nel caso della Torre del Palazzo Viviani Cova a Milano, edificato tra il 1910 e il 1915, su progetto di Adolfo Coppedè.
Nelle costruzioni dei primi anni del secolo scorso, regnava sovrano l'eclettismo ottocentesco, avversato da molti addetti ai lavori, per la sua confusione, capace di creare episodi non del tutto inquadrabili nella suddivisione in stili dando nuvoa vita a edifici che univano elementi moderni come il Liberty a quelli di ascendenza antica. Il tema della torre romanico-gotica impiantata in edifici di matrice classica ne è un esempio. |
La struttura di questa importante opera ispirò i progettisti della Torre Velasca dello Studio BBPR: Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, che trasceso i'eclettismo inserirono gli elementi compositivi come le travature superiori a vista, in una poetica brutalista.
UNA LUNGA CARRELLATA SULL''ECLETTISMO
Gli stili dell’Eclettismo:
Le "Torri dell'Eclettismo" sorsero in varie zone d'Italia, dalla seconda metà del 1800 ai primi decenni del XX secolo. Tra gli esempi di questo operare in architettura nei primi anni del 1900, possiamo ricordare a Milano, nell'ordine della galleria sottostante, Casa Venegoni, Villino Hoepli, Villa Francetti Frova, Palazzo Fidia, Palazzo Meroni, Casa Felisari o Palazzo Pathé.
A Torino ricordiamo, oltre alle decine di villini dei quartieri nobili, la Torre del Birrificio Kursaal-Durio e la Torre di Villa Arduino, la Torre della Casa dei Draghi; la Torre del Moncanino a San Mauro Torinese, (attribuita sia a Pelagio Pelagi, sia ad Alessandro Antonelli), e poi la Torre di Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio, (questa del Pelagi), la Torre di Villa La Gaeta a Como, le molte strutture di Genova, come Il Castello Mackenzie, Il Castello d'Albertis, il Castello Raggio, il Castello Bruzzo, il Castello Turcke, la Villa Coppedè e le inconsuete Torre della Norma a Casalbuttano e Torre del Palazzo Palasciano a Napoli, solo per citare alcune delle opere tese a recuperare le suggestioni dell'antichità ad uso abitativo. Ve ne offriamo un'ampia carrellata.
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La palazzina, tra gli ultimi esempi di gusto neoeclettico a fronte delle incalzanti istanze razionaliste, sorge nel 1928 su progetto dell’architetto Paolo Napione, docente in costruzioni presso la Regia Scuola Tecnica Lagrange, autore nello stesso anno del Teatro Alfa e, quello successivo, della chiesa della Divina Provvidenza.
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Committente della villa, che da lui prese il nome, è il cavaliere Giuseppe Arduino, titolare di un’importante impresa edile nonché proprietario di diversi edifici nella zona, tra i quali la casa a cinque piani di gusto razionalista che farà costruire nel 1934 sul lato opposto della strada, in corso Lecce 57. La palazzina a due piani, a struttura mista di muratura e cemento armato, con parziali sopraelevazioni a forma di torri formanti il terzo e quarto piano,
Casalbuttano Cremona - Torre della Norma
I Turina erano una delle famiglie più ricche della lombardia, 3500 ettari di solo terreno.
Ferdinando Turina nato nel 1794 e Giuditta Cantù nata nel 1803 si sposano nel 1819, lei porta in dote 70.000 lire (la paga annua di un muratore ammontava allepoca a 500 lire annue) Giuditta però non amava Casalbuttano piccolo paese in provincia di Cremona, che non offriva gli svaghi cui era usa ed essendo appassionata di musica si recava spesso a Milano al teatro alla Scala. Bellini e Giuditta si conoscono alla prima di Bianca e Ferdinando in occasione dell’inaugurazione del teatro Fenice di Genova il 7 aprile 1828. Da quel giorno inizia il loro rapporto sentimentale travagliato. I due amanti iniziano a frequentarsi assiduamente spesso in luoghi lontani. Sul lago di Como Bellini compone la Straniera e la dedica a Giuditta. |
Bellini nel settembre 1830 inizia a comporre la Norma . Ospite di palazzo Turina dai primi di ottobre al 8 novembre 1830 nella pace del grande parco che circonda la villa prosegue la composizione. Durante un suo soggiorno in Inghilterra scrive, senza nessuna precauzione lettere d’amore a Giuditta che malauguratamente vengono intercettate da Ferdinando nell’aprile 1933. I maligni dicono che a Ferdinando non importasse più di tanto sapere del tradimento, ma spinto dal fratello e dai parenti caccia la moglie e intenta la causa per la separazione legale.
Bellini riceve notizie di Giuditta per l’ultima volta il 20 agosto 1835 e scompare il 23 settembre dello stesso anno.
A Casalbuttano si sarebbe voluto cancellare dalle cronache i nomi di Bellini e Giuditta e si ignora ufficialmente qualsiasi fatto riguardante i due amanti. Nel 1851 Turina acquisisce tutta l’area posseduta dai signori Schinchinelli per ampliare il parco della villa che arriva così a coprire 312 pertiche cremonesi, equivalenti a circa 250.000 metri quadrati.
Verso il 1860 decide di abbellire il parco e fa scavare un laghetto triangolare alimentato dalla roggia Bordegazza che viene deviata a tale scopo, fa costruire un ponticello a dorso d’asino che lo scavalca , una torretta a base pentagonale ed una torre merlata che le future generazioni chiameranno Torre della Norma per ricordare l’illustre ospite e dare lustro al nome di Casalbuttano nel mondo. Ferdinando Turina muore nel 1869 e Giuditta Cantù nel 1871.
Bellini riceve notizie di Giuditta per l’ultima volta il 20 agosto 1835 e scompare il 23 settembre dello stesso anno.
A Casalbuttano si sarebbe voluto cancellare dalle cronache i nomi di Bellini e Giuditta e si ignora ufficialmente qualsiasi fatto riguardante i due amanti. Nel 1851 Turina acquisisce tutta l’area posseduta dai signori Schinchinelli per ampliare il parco della villa che arriva così a coprire 312 pertiche cremonesi, equivalenti a circa 250.000 metri quadrati.
Verso il 1860 decide di abbellire il parco e fa scavare un laghetto triangolare alimentato dalla roggia Bordegazza che viene deviata a tale scopo, fa costruire un ponticello a dorso d’asino che lo scavalca , una torretta a base pentagonale ed una torre merlata che le future generazioni chiameranno Torre della Norma per ricordare l’illustre ospite e dare lustro al nome di Casalbuttano nel mondo. Ferdinando Turina muore nel 1869 e Giuditta Cantù nel 1871.
Due grandi esponenti dell'eclettismo italiano - Alfredo d'Andrade e Gino Coppedé
Attivo a Bologna, Firenze e Roma, fu artefice di uno stile accademico ispirato alla architettura rinascimentale. Nel 1865 fu ammesso al concorso per la facciata della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, nello stesso anno, a Napoli, fu incaricato di realizzare il palazzo di Ferdinando Palasciano sulla collina di Capodimonte sulla costruzione già esistente. Modificando l'edificio vi inserì un'alta torre merlata..
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Gioiello dei primi del Novecento, Villa Maraini sorge nel Rione Ludovisi sulla sommità di una collina artificiale – in un lotto di terreno all’epoca utilizzato come deposito per il materiale di scavo della odierna via Ludovisi e di detriti – ed è circondata da uno splendido giardino con ninfeo a forma di grotta. Fu costruita tra il 1903 e il 1905 dall’architetto ticinese Otto Maraini per il fratello Emilio Maraini, industriale di successo, noto per aver introdotto in Italia la produzione di zucchero ottenuto dalle barbabietole.
La costruzione si ispira alla tradizione delle ville suburbane con giardino, come Villa Medici o Villa Borghese, e si presenta come un monumentale ed elegante edificio di gusto eclettico con elementi neobarocchi. |
Otto Maraini fu impegnato anche pittore, designer e scultore di impareggiabile valore, basti pensare alla famosa Fontana Antonio Bossi di Lugano ed al suo legame con le Manifatture ceramiche torinesi Lenci, SV, Ars Pulchra e Le Bertetti.
All’incrocio tra Via Tagliamento, Via Arno e Via Ombrone, il quartiere Coppedè di Roma è così chiamato in onore dell’architetto fiorentino Gino Coppedè. La costruzione del complesso di edifici ebbe inizio nel 1913 e fu completata dopo la morte di Coppedè, nel 1927. Ispirato dai motivi giocosi dell’architetto catalano Antoni Gaudì, suo contemporaneo, Coppedè impiegò archi, curve e mosaici in stile Art Nouveau, molto in voga nei primi anni del Novecento.
Il nome di Sem Benelli (1877-1949), drammaturgo toscano di enorme fama nella prima metà del Novecento, è soprattutto legato al suo lavoro più noto, “La cena delle beffe”, che dal 1909 conobbe ininterrotto successo mondiale. Meno si sa del fatto che la Liguria fu la sua seconda patria: abitò infatti a Sanremo, a ovest della regione, a San Terenzo, a est, e si stabilì in via definitiva a Zoagli, in provincia di Genova.
Qui, dopo i guadagni derivati dai diritti della “Cena”, benché con le mani perennemente bucate, decise di farsi costruire una dimora principesca a picco sul mare, che ancora oggi sorge imponente ai bordi della Aurelia. |
Il progettista prescelto fu Gian Giuseppe Mancini, architetto toscano di non comune talento, che Benelli aveva conosciuto nel 1906, alla Scala di Milano, quando si occupava di scenografie teatrali. Glielo aveva presentato il famosissimo impresario Luigi Sapelli, meglio conosciuto come Caramba. La costruzione è una sontuosa, enorme quanto eclettica villa a pianta semicircolare, su tre livelli, che costò a Benelli un patrimonio, anche per il mobilio quattrocentesco con cui volle arredarla, completata dalla casa del giardiniere e da un vasto parco digradante fino al mare.Il castello, ipotecato per le continue spese di Benelli, fu messo una prima volta all’asta dal commissario del banco Carlotto, in fallimento, ma intervenne personalmente Mussolini – sebbene Benelli non fosse fascista né avesse mai voluto iscriversi al partito o al Sindacato – che ordinò di comperarlo per 110.500 lire e di restituirglielo. E puntualmente questo avvenne; tuttavia, Benelli lo perse una seconda volta e si trasferì nella casa del giardiniere, con il diritto di abitarvi fino alla morte, nel 1949.
Rocchetta Mattei: il sogno moresco tra Toscana ed Emilia Romagna
Sull’Appennino tosco-emiliano, vicino al comune di Vergato, esattamente a metà strada fra Bologna e Pistoia, si trova uno degli edifici più curiosi di tutto il XIX secolo italiano.
È la Rocchetta Mattei, esempio di quell’architettura che si diffuse per qualche decennio nella seconda metà dell’Ottocento e che, nel tentativo di reagire a una crisi profonda di questo linguaggio artistico, giocava con elementi e stili diversi nello spazio e nel tempo. Questo castelletto non fa eccezione, nel suo articolarsi fra torri merlate, cupole moresche, chiostri arabeggianti e richiami al Romanico. |
La Rocchetta fu la dimora del Conte Cesare Mattei, letterato, politico e medico autodidatta fondatore dell'elettromeopatia, pratica fondata sull'omeopatia. Costruita sulle rovine di una rocca precedente, essa attraversò diverse fasi costruttive con numerose aggiunte e modificazioni: l'insieme di edifici che forma il castello odierno è collocato su un complesso medievale, appartenuto agli imperatori Federico il Barbarossa e Ottone IV e dominio della contessa Matilde di Canossa, che vi tenne come custode un vassallo.
Catania Torre Alessi - L'eclettica che ispirò Vitaliano Brancati
La Torre Alessi, dal gusto eclettico, affascinante e misterioso era una delle protagoniste e delle meraviglie della città di Catania.
Vitaliano Brancati, nel romanzo dal titolo "Gli anni perduti", la descrisse magistralmente, e un avviso pubblicitario sulla Gazzetta di Catania del 8-9 maggio 1888, ne testimoniava l’interesse; «Sin dal primo maggio 1888 in Catania nel Giardino Alessi, contrada S. Niccolò al Borgo, si permette l’ascensione sulla Torre alle persone provviste di biglietti PERSONALI d’ingresso, che trovansi vendibili al prezzo di lire 2 ciascuno nel Chiosco dei Fiori sito in Piazza dell’Università». Catania, perla d’acqua e di fuoco, si ammirava dall’alto. |
Salvatore Alessi, ricco proprietario, necessitava di una vasca per l’irrigazione dell’omonimo giardino e l'architetto milanese Carlo Sada, mirabile genio, optò per la realizzazione di un impianto formato da torre e vasca. La struttura della Torre Alessi constava di quattro elementi. La vasca, con i suoi 262 metri cubi, aveva un’altezza di 17 metri e svolgeva la funzione di riserva d’acqua. Il secondo elemento aveva la funzione di salotto: quadrato, con i suoi 3,40 metri di lato, era pavimentato con raffinati lastroni di marmo e con tre eleganti finestroni ornamentali.
Una piccionaia alta 9,89 metri, 51 nicchie, pavimento in quadretti d’argilla e quattro finestre costituiva il terzo elemento. Il quarto elemento era costituito da un terrazzo-belvedere e la torre si innalzava per circa 36 metri (ad esclusione della cupola). Una scala la serpeggiava a spirale con i suoi 196 gradini che conducevano alla cupola tinteggiata di verde in stile moresco in ferro e ricoperta di rame. In cima, sospesa tra terra e cielo, una banderuola segnava la direzione del vento.
Una piccionaia alta 9,89 metri, 51 nicchie, pavimento in quadretti d’argilla e quattro finestre costituiva il terzo elemento. Il quarto elemento era costituito da un terrazzo-belvedere e la torre si innalzava per circa 36 metri (ad esclusione della cupola). Una scala la serpeggiava a spirale con i suoi 196 gradini che conducevano alla cupola tinteggiata di verde in stile moresco in ferro e ricoperta di rame. In cima, sospesa tra terra e cielo, una banderuola segnava la direzione del vento.
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