grattacieli sognati
Il Secondo Futurismo
A lungo fu unicamente preso in considerazione il periodo “eroico” del movimento futuista, tramite la critica “boccionicentrica”, la sola riconosciuta ed accettata, che non lasciava spazio alla seconda generazione. Potremmo ricordare l’idea boccionicentrica di Argan, ad esempio, che dominò a lungo il campo d’indagine della pittura; oppure, quella sostenuta da Venturi che vede nelle opere di Gino Severini un’alternativa al ruolo di Umberto Boccioni; inoltre, quella sostenuta da Longhi che vede un’alternativa nel lavoro di Carlo Carrà.
Gli artisti del Secondo Futuristmo erano sottovalutati e apostrofati con aggettivi come “spuri” e “minori”, “epigoni”, “imitatori”, “seguaci”, “discendenti”, “successori”, “continuatori”, “inutili e orecchianti”. il secondo futurismo era definito “attardamento o ritardo provinciale”. |
A seguito di ricerche approfondite sui materiali editi e inediti della seconda generazione, alcuni studiosi hanno gradualmente iniziato a rendersi conto dell’importanza della seconda generazione capace di sviluppare i concetti futuristi della prima generazione e di influenzare molti artisti d’avanguardia nel mondo.“successori”, “continuatori”, “inutili e orecchianti”, “soliti orecchianti e ripetitori”; il secondo futurismo era definito “attardamento o ritardo provinciale” o “garbato epigonismo”. A seguito di ricerche approfondite sui materiali editi e inediti della seconda generazione, alcuni studiosi hanno gradualmente iniziato a rendersi conto dell’importanza della seconda generazione capace di sviluppare i concetti futuristi della prima generazione e di influenzare molti artisti d’avanguardia nel mondo.
Tato - Guglielmo Sansoni
L' artista bolognese Guglielmo Sansoni aveva appena 23 anni, nel 1919, quando conobbe Filippo Tommaso Marinetti, il vulcanico fondatore del Futurismo. Fu un incontro tanto desiderato che gli cambiò non solo la vita ma anche il connotato anagrafico più importante. Soltanto pochi mesi dopo il giovane pittore celebrò in modo plateale, con tanto di necrologio sul giornale, il proprio funerale seppellendo la sua vecchia identità per rinascere con il nome di Tato. Una firma legata a doppio filo agli anni gloriosi dell' aeropittura, che proprio lui contribuì a fondare e a far decollare negli anni Trenta in modo prepotente ponendola tra i filoni di maggior fascino dell' avanguardia.
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Tullio Crali
Grattacieli ed architetture alte, nell'opera di Tullio Crali, sembrano pure citazioni, corollari scenografici per gli eroici piloti protagonisti delle sue opere di Aeropittura, come il notissimo dipinto "Incunearsi nell'abitato". E' una sfida tra le falliche dinamicità degli edifici, tesi verso il cielo, e le acrobatiche e sinuose imprese degli aerei che da questo discendono. Nella sottile lotta, d'amore e odio, prevalgono le macchine volanti, quando temibili ed ardite approdano sulla città per osservarla e distruggerla, non senza il recondito piacere di sorvolarne le cime e gli anfratti, per esplorarli e poi penetrarli vertiginosamente, tuffandosi in un amplesso di vento, fuoco, vetro, cemento e polvere
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Autodidatta, Crali aderì al futurismo in ritardo, non prima del 1929. È noto per le sue opere di stampo realistico, che combinano velocità, meccanizzazione aerea e meccanica della guerra, sebbene nella sua lunga carriera abbia espresso anche altri stili e progettato strutture architettoniche.
Nel 1928 Crali volò per la prima volta. Il suo entusiasmo per il volo e la sua esperienza di pilota influenzò la sua produzione artistica. Nel 1929, attraverso Sofronio Pocarini, prese contatto con Marinetti, il fondatore del futurismo, e si unì al movimento. Nello stesso anno venne inaugurata l'aeropittura attraverso il Manifesto dell'Aeropittura, redatto da Marinetti, Balla, Depero, Prampolini, Dottori, Cappa, Colombo (noto come Fillia), Sansoni (detto Tato) e Somenzi, pubblicato nell'articolo Prospettive di volo.
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Nel manifesto viene riportato che «Le prospettive mutevoli del volo costituiscono una realtà assolutamente nuova e che nulla ha di comune con la realtà tradizionalmente costituita dalle prospettive terrestri»; e che «Dipingere dall'alto questa nuova realtà impone un disprezzo profondo per il dettaglio e una necessità di sintetizzare e trasfigurare tutto».
Negli anni 1930 i suoi dipinti divengono realistici, avendo l'intento di comunicare allo spettatore l'esperienza del volo. Il suo lavoro più noto, Incuneandosi nell'abitato (1939), mostra un tuffo aereo dal punto di vista del pilota, con gli edifici sottostanti rappresentanti in una prospettiva vertiginosa e inquietante, anche da un punto di vista erotico e psicanalitico.
Le belle caricature dei compagni futuristi di Tullio Crali
Fortunato Depero
Fortunato Depero, tra i firmatari del Manifesto dell'Aeropittura fu rappresentante del cosiddetto Secondo Futurismo. Ideologia a parte, esisteva una effettiva differenza fra il primo e il secondo Futurismo, rispetto a quanto professato nei manifesti: se il primo si proponeva di «portare l'Arte nella vita», di fatto rimase chiuso dentro gallerie e musei, fatta eccezione per le Serate Futuriste e si limitò ad esprimersi tramite la pittura e la scultura. Il secondo Futurismo, invece, a partire dalla Ricostruzione futurista dell'universo di Balla e Depero entrò di prepotenza nella vita quotidiana della gente, grazie alla pubblicità, all'arredamento, agli allestimenti teatrali, alla moda, all'architettura, all'arte postale.
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Per quanto concerne la verticalità, che a noi interessa maggiormente, anche Depero non si discostò dal sogno di raggiungere il cielo, come testimonia la selezione di dipinti, bozzetti e disegni che vi proponiamo.
Piero Portaluppi
Piero Portaluppi, è stato uno tra i più attivi e geniali architetti della prima metà del 900, dotato di una notevole verve umoristica. In questo spazio non vogliamo ricordarlo per le sue opere, ma per la sua diffidenza verso i grattacieli, anche se è bene citarne alcune, come le centrali elettriche, realizzate fra il 1912 e il 1930: magnifiche costruzioni eclettiche simili a castelli e pagode cinesi; il Padiglione italiano all’Esposizione universale di Barcellona del 1929; il Planetario Hoepli nei Giardini Pubblici (1929-30); la Banca Commerciale (1928-32), con la sua fronte colonnata; il palazzo Buonarroti-Carpaccio-Giotto (1926-30), l’enorme arco aperto su corso Venezia e naturalmente il prestigioso Arengario (1937-42) in piazza del Duomo.
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L'elenco continua con il palazzo per l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (1932-37) in piazza Diaz, l’edificio Ras (1935-38) in via Torino, la recuperata villa Necchi Campiglio (1932-35) in via Mozart, la Federazione dei Fasci Milanesi (1935-40), in piazza S. Sepolcro, fino all’amata dimora nella sforzesca Casa degli Atellani di corso Magenta, ristrutturata liberamente per l'amico Ettore Conti, del quale aveva sposato la nipote, nel 1913. Ma non scordiamo la trasformazione del monastero di San Vittore a sede del Museo della Scienza e della Tecnica (1947-1953), quella dell'Ospedale Maggiore a Università Statale (dal 1949), la Piccola Scala (1949-1955), il disegno del sagrato di Piazza Duomo (1964); la Sede della RAS sempre a Milano. realizzata con Gio Ponti, Alberto Rosselli e Antonio Fornaroli... che gran dovizia. ma a noi interessano, in verità, i grattacieli, che Portaluppi non realizzò e in qualche modò sbeffeggiò.
Portaluppi nel 1920 elabora due progetti simbolo della sua attività. Il grattacielo che si imposta sui grattacieli di New York per una fantomatica società il cui nome – S.K.N.E. cioè “scappane” – appare però come un divertito monito e i blocchi residenziali del quartiere di Allabanuel – letto al contrario rivela lo spirito della proposta – costituiscono il manifesto della sua ironia architettonica e insieme una visione scettica sulla modernità e sul fenomeno dell'urbanesimo. A questi, nel 1926 farà seguito il progetto per la città utopica – e infernale – Hellytown. I disegni delle sue architetture fantastiche la dicono lunga sulle sue intenzioni.
Mario Chiattone
Mario Chiattone era figlio di Gabriele, noto litografo, tipografo e cartellonista attivo a Bergamo, e di Pia Greco. Nipote degli scultori Antonio e Giuseppe. Nel 1898 si trasferì a Milano dove studiò all'Accademia di Brera; seguendo i corsi regolari e quelli della Scuola Applicata del Libro.
Entrò in contatto, fra gli altri, con Carlo Carrà, Umberto Boccioni e Antonio Sant'Elia. Fu uno dei primi aderenti e partecipò alla mostra del Gruppo Nuove Tendenze. |
Amico fraterno di Sant'Elia, con lui condivise squadre e lucidi, nel modesto studio milanese e frequentò la Wagnerschule, teso alla ricerca stilistica per una nascente architettura moderna. Frequentò i grandi innovatori dell'epoca, come Virgilio Marchi, Romolo Romani, Aroldo Bonzagni e Leonardo Dudreville. ma a differenza di Sant'Elia non aderì al Futurismo nel senso ideologico del termine, anche se nel 1919 scrisse il saggio Architettura Futurista.
Dopo la prematura morte di Sant'Elia, Chiattone si trasferì in Canton Ticino e nel 1922 si stabilì a Lugano, dove abbandonò il linguaggio della ricerca scegliendo un'attività di routine come libero professionista, ottenendo l'attinenza di Iseo, ed abbandonando ogni legame stilistico con il Futurismo.
Dopo la prematura morte di Sant'Elia, Chiattone si trasferì in Canton Ticino e nel 1922 si stabilì a Lugano, dove abbandonò il linguaggio della ricerca scegliendo un'attività di routine come libero professionista, ottenendo l'attinenza di Iseo, ed abbandonando ogni legame stilistico con il Futurismo.
Pur essendo stato uno dei più notevoli visionari europei in campo architettonico e urbanistico, pochi lo conoscono, se non gli addetti ai lavori, anche se le sue opere sono esposte al Moma di New York, anche se nelle grandi rassegne dedicate al Futurismo i suoi disegni gareggiano con quelli di Sant'Elia: le città del futuro lanciano ancora il loro potente urlo e i visitatori attoniti devono ammirare quegli algidi vaticini, che precorrevano i tempi nostri: torri, grattacieli, ascensori esterni, enormi prese d'aria. Un'occhio che ha saputo leggere la conquista tecnologica, che preannuncia i disastri dell'architettura anni '70, gli incubi dell'architettura realista sovietica, ma anche le intuizioni dell'urbanistica del 2000 e oltre.
Angiolo Mazzoni del Grande
Angiolo Mazzoni del Grande, talvolta indicato con la grafia del nome Angelo (Bologna, 21 maggio 1894 – Roma, 28 settembre 1979), è stato un ingegnere e architetto italiano. Fu uno dei maggiori progettisti di edifici pubblici, stazioni ed edifici ferroviari e postali della prima metà del XX secolo. Estremamente eclettico nell'espressione progettuale, Mazzoni operò durante buona parte della sua attività professionale come ingegnere capo per le Ferrovie dello Stato, realizzando significativi interventi in tale ambito nelle maggiori città italiane: Firenze, Messina, Milano, Roma nonché numerosi edifici pubblici, tra i quali spiccano gli edifici postali di Grosseto, Sabaudia, Latina, Ostia, Palermo e Trento.
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Il notevole grado di sperimentazione che caratterizza l'opera complessiva di Mazzoni rende difficile ridurre ad un unico comune denominatore il suo linguaggio. Lo testimonia la varietà stilistica cui sono improntate alcune delle sue opera più significative, come la Colonia Rosa Maltoni Mussolini di Pisa presso Calambrone (1925-1926), futurista, l'edificio postale di Pola (1930), razionalista, o la Centrale termica della Stazione ferroviaria di Firenze, costruttivista.
Stazioni Ferroviarie
Palazzi Poste e Telegrafi
Ricreazione Colonie e Dopolavoro con Teatro
Nicolay Diulgheroff
Figura di grande spicco, pittore, designer ed architetto, Nicolay Diulgheroff fu tra i maggiori esponenti del secondo Futurismo. Nato in Bulgaria a Kustendil il 20 dicembre 1901, dopo una breve parentesi a Vienna e Dresda, studia inizialmente a Weimar alla Bauhaus. Dopo avere incontrato alcuni esponenti del Secondo futurismo tra cui Fillia, nel 1926 si trasferisce a Torino.
Qui aderisce al gruppo futurista, con il quale inizia a esporre le sue prime opere, dedicandosi anche alla pittura e al disegno industriale. Collabora poi con diverse riviste futuriste tra cui “La Città Nuova” e “Stile Futurista”. |
Per Diulgheroff, entrato giovanissimo nell’azienda tipografica paterna, fu naturale coltivare un rapporto privilegiato con la carta stampata, che per i futuristi rappresentava un spazio di creatività liberata nel quale fondere le parole all’estetica del foglio, in un libero collage svincolato dalle regole dell’impaginazione tradizionale. Le capacità grafiche di Diulgheroff si manifestano al massimo grado nella creazione dei cosiddetti cartelli lanciatori, tabelloni in lamiera con immagini su entrambe le facciate. Questa vera e propria pubblicità, sostituiva l’antico reclame stradale con immagini persuasive in cui l’oggetto era contrapposto a zone astratte convergenti su di esso. Non era che una tappa di integrazione futurista fra arti e tessuto urbano, avviata con l’Esposizione Nazionale Italiana per il Decennale della Vittoria di Torino, durante la quale i futuristi si autopromossero con un padiglione pubblicitario progettato da Enrico Prampolini e attraverso i suddetti manifesti disegnati dal giovane Diulgheroff e sistemati nei pressi della struttura per la quale aveva anche pensato gli arredi interni. Durante il medesimo anno, alla I Mostra di Architettura Futurista, allestita al Valentino di Torino, Diulgheroff presentò il progetto del Faro della vittoria della macchina, straordinaria opera verticale di grande impatto estetico e funzionale, che non sarà mai realizzata.
Con la ripresa economica del dopoguerra, si iniziò a pensare a nuovi grattacieli per Torino. Diulgheroff presentò nel 1946 tre progetti, per quello da edificare in via XX Settembre. La seconda versione, intonata ai progetti di Piacentini per il secondo tratto di via Roma, si erge su un ordine gigante e svetta in cima con due attici a ziggurat.
Tuttavia gli aspetti più utopici dei suoi edifici, attenti al valore spirituale e sempre più lontani dai principi funzionalisti e razionalisti come l’elaborato del 1950 a forma di sfera e rispettive varianti ellissoidali, nella realtà furono frustrati da una pratica aderente a vecchi clichè.
Tuttavia gli aspetti più utopici dei suoi edifici, attenti al valore spirituale e sempre più lontani dai principi funzionalisti e razionalisti come l’elaborato del 1950 a forma di sfera e rispettive varianti ellissoidali, nella realtà furono frustrati da una pratica aderente a vecchi clichè.
Quirino De Giorgio
Quirino De Giorgio, nacque a Palmanova, il 27 dicembre 1907. Giovanissimo è affascinato da Antonio Sant'Elia, si iscrive all'Istituto Superiore di Architettura di Venezia, interrompendo tuttavia gli studi, che riprenderà alcuni decenni dopo. Dopo un periodo di pratica presso uno studio di architettura in Francia rientra in patria, avviando rapporti con alcuni esponenti del movimento futurista. Frequenta Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Maria Dormal, Gerardo Dottori, Fortunato Depero, Bruno Giordano Sanzin, Tullio Crali, con cui partecipa a numerose mostre d'arte a Padova, Napoli, Bologna e Mantova.
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Nei primi anni trenta De Giorgio disegna una serie di architetture finalizzate alle esposizioni del movimento futurista, alle quali prende parte con costanza. Responsabile per l’architettura del raggruppamento futurista, di cui è segretario regionale, progetta edifici che esprimono dinamismo e spinta ascensionale, caratterizzati da passaggi aerei, rampe elicoidali, ascensori esterni. Le composizioni visionarie, che recano intitolazioni riferite a specifiche destinazioni d’uso, celebrano d’altra parte lo spirito guerresco che e' alla base dell’ideologia fascista. Risalto scenografico, gigantismo, simmetria, costante ricorso al tema della torre, indifferenza rispetto al contesto, rilevanza delle fonti di luce artificiale, in genere fasci littori vetrati, sono altre caratteristiche di queste sue architetture.
Tra gli altri, vi proponiamo. nell'ordine, i disegni: Metropolis, Monumento ai Caduti dell’Aria, Faro, Faro per Confine, Monumento ai Caduti del Mare, Grattacielo, Museo della Rivoluzione Fascista e Monumento ai suoi Martiri, Casa del Fascio Moderna, Camera Generale delle Corporazioni, nonché le foto relative al Cinema Altino, progettato dopo la caduta del fascismo, mentre vengono poste le basi per la rinascita del paese e la sua ricostruzione.
Tra gli altri, vi proponiamo. nell'ordine, i disegni: Metropolis, Monumento ai Caduti dell’Aria, Faro, Faro per Confine, Monumento ai Caduti del Mare, Grattacielo, Museo della Rivoluzione Fascista e Monumento ai suoi Martiri, Casa del Fascio Moderna, Camera Generale delle Corporazioni, nonché le foto relative al Cinema Altino, progettato dopo la caduta del fascismo, mentre vengono poste le basi per la rinascita del paese e la sua ricostruzione.
Il cinema Altino di Padova anticipa i principali aspetti che caratterizzerano l’architettura di De Giorgio nel periodo postbellico, soprattutto la sperimentazione in ambito strutturale e la variazione dei materiali nell’unitarieta' dell’organismo edilizio. Nel cinema Altino, inaugurato nel 1951 nel centro antico della citta', sono compresenti tre distinti ambienti di proiezione. La sala principale che da' il nome al fabbricato, con l’ingresso su via Altinate sovrastato dalle lastre di vetro del salotto della galleria; la piu' piccola sala del cinema Mignon nel livello seminterrato con l’ingresso da via Cassan; lo spazio all’aperto sulla copertura, mai utilizzato, previsto per ospitare nella stagione estiva cicli di proiezioni notturne.
Virgilio Marchi
Esponente di spicco del Secondo Futurismo nonché uno dei maggiori scenografi italiani. Avvicinatosi da giovanissimo al movimento futurista, diventò amico di Filippo Tommaso Marinetti, per il quale progettò la sua villa di Capri nel 1927. I suoi disegni rappresentano così la sintesi estrema tra la cultura architettonica e urbanistica delle avanguardie come Antonio Sant'Elia e Mario Chiattone e la pura ricerca formale. La serie di studi e bozzetti presentati ben rende conto dei fervidi anni ’20 di Marchi, gli stessi in cui realizza a Roma il Teatro degli Indipendenti e la Casa d’Arte Bragaglia in via degli Avignonesi, 1921, e il Teatro d’Arte di Luigi
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Pirandello a Palazzo Odescalchi, 1924.Erede delle Ricostruzione futurista dell’universo, Marchi concepisce un’architettura dalle volumetrie espanse, disassate sino ai limiti dell’improbabilità statica, a forte impronta curvilinea e diagonale, vera e propria concezione scultorea fatta spazio abitabile. La sua intuizione è quella della megalopoli, dell’agglomerato stratificato, cui la nuova voga aviatoria consente l’utopia di una “città superiore” sovrapposta a quella terrena: “Cominciamo a dotare di solidissimi e fondi piloni questi tratti pianeggianti; lanciamoli a sostenere le grandi piazze elevate. Cavalcavia solcheranno le strade, l’assetto edilizio regolatore ne verrà di molto cambiato. Segnali, semafori, pinnacoli, riflettori a ogni vertice e terrazze levigatissime come biliardi per il giuoco degli apparecchi”, scrive nel 1931.
Fruttuoso è confrontare tali scintillanti intuizioni urbanistiche con la parallela attività di scenografo, fondata su un far vedere a un tempo essenziale e lussureggiante, fastoso, mobile. E notevole è osservare come, nella sequenza delle esperienze, dagli anni ’30 man mano si faccia strada sul fondamento bruscamente anticlassico di Marchi – e di altri con lui – un più cautelato approccio classicheggiante, che si fa “neorealismo plastico” nella stagione ultima, quella delle cruciali collaborazioni cinematografiche con De Sica e Rossellini.